Origini familiari
Mi diverte sempre molto ripensare alle origini della mia famiglia, in quanto ho due matrici completamente opposte.
Mia madre nasce da una famiglia nobile ma decaduta. Ridiamo sempre ripensando al primo giorno di lavoro del nonno Ottorino che schiaffeggiò il padrone: della serie “come ti permetti di comandarmi?“ Questa famiglia di nome Coira, come la città sul lago di Costanza, mi parla di lanzichenecchi scesi in Italia. Probabilmente qualcuno anche nobile scese come capitano di ventura e si era poi installato a Bergamo E diventati nobili. A queste origini un po’ tedesche credo di dovere una certa qual rigidità. Con mia figlia ridendo diciamo che siamo: “Frau Bruker” e imitiamo il nitrito dei cavalli come in Frankenstein junior.
Diversamente mio padre nasce da una famiglia storicamente comunista, anticlericale e molto critica verso il governo in carica, qualunque esso fosse. Antifascista dichiarato, non ho mai saputo come ho fatto a non subire…
Mio padre era anche un sognatore, amante di Frank Capra il regista, e io credo di aver preso da lui Ideali e ribellione. Sicuramente rigida e ben radicata in un senso del dovere e di valori etici profondi si stagliava infine la figura della mia nonna materna.figura abbastanza a sè stante: era a modo suo rigida e ribelle.
Quando nel 43 ci fu l’armistizio e lo scioglimento dell’esercito con i ragazzi sbandati che scappavano verso le montagne, lei aveva acceso un fuoco in cortile con un pentolone e dava da mangiare a tutti ragazzi che passavano nelle vicinanze, dicendo “speriamo che qualcuno aiuti mio figlio”.
Lei fu per me una grande formatrice e con la sua calma e saggezza sottolineava ogni avvenimento, ogni accadimento con un proverbio, che definiva molto chiaramente la situazione, fornendomi una chiave di lettura che mi permetteva di comprendere il mondo. Una mia amica dice che la nonna mi ha fornito un “Libretto di istruzioni per la vita“ e lo fu davvero!
Ma nella sua rigidità anche mia madre fu una ribelle. Femminista ante litteram, la ricordo nell’ingresso di casa col dito in alto dicendo: “finché sono stata popolo oppresso“. Ero piccola e non capivo, ma poi ho capito.
Vivendo in questa atmosfera mi era stato naturale rispondere in modo offensivo al preside che citava Carducci, dicendo: “donne preti non sono poeti”. Ringrazio quest’uomo intelligente di non avermi sospeso e di aver chiuso un occhio, rendendosi conto che aveva provocato. Dopo quel momento l’ho molto stimato, superando la brutta impressione ispiratami dalla frase citata. Questa era comunque la realtà che noi vivevamo nel 65: uomini stimabili, degni di stima dal punto di vista umano, che ridacchiando, senza esserne profondamente convinti, ripetevano però il leitmotiv della superiorità maschile.
Altri invece ne erano profondamente convinti, storicamente cresciuti in un senso del dovere che fu la caratteristica dominante della società del primo cinquantennio del 900. Il pater familias ancora la faceva da padrone, che si prendesse responsabilmente carico della famiglia o no.
Proprio quel clima di autoritarismo fu il nostro primo nemico nel 68.